In quanti modi si può ricordare? In italiano tre

Pubblicato Categorie: La parola che non ti aspetti

Infatti poiché la natura tutta è congenere e l’anima ha appreso tutto quanto, nulla impedisce che, ricordando una sola cosa – e questo gli uomini chiamano appunto apprendimento – uno trovi da sé stesso anche tutto il resto, se è coraggioso e non si stanca di cercare: cercare e apprendere infatti sono in generale reminiscenza.

Secondo Platone, che nel dialogo Menone mette queste parole in bocca a Socrate, l’apprendimento, quindi la conoscenza, è ἀνάμνησις (anámnesis) ‘reminiscenza’. Nella parola stessa si nasconde la radice della facoltà umana responsabile della memoria secondo i greci, la mente: *mn-, infatti, è una delle forme della radice indoeuropea che contiene il significato ‘pensare, avere nella mente’. Tante parole derivano, ancora in italiano, da questa radice, in questa forma o nelle altre che può prendere (*man-, *men-, *min-, *mon-); eccone alcune: mente (demente e demenza), mania (maniaco), quelle derivate dal greco μανθάνω (mantháno) ‘imparare’, che hanno perso la n, come matematica e automatico ‘dotato di pensiero, di volontà’, quelle legate al latino MŎNĔO ‘avvertire, avvisare’, monito, ammonire, monitore ‘consigliere’ (da MŎNĬTOR ‘suggeritore, ammonitore’, da cui abbiamo anche l’inglese ormai italianizzato monitor, la periferica del computer che ci permette di controllarne il funzionamento). Ci sono, poi, le parole legate in particolare alla memoria, come menzione, monumento ‘oggetto che ricorda una persona o un evento’, amnesia (attraverso il francese amnésie) e amnistia (dal greco bizantino amnestía), che indica il perdono conseguente alla cancellazione della memoria delle azioni commesse dal condannato, anamnesi ‘raccolta di informazioni sul passato clinico di un paziente’, mnesico (con la variante mnestico) ‘relativo alla memoria’.

Curiosamente, però, né memoria, né tanto meno ricordo hanno a che fare con la radice *mn-: i concetti alla base di queste parole sono ben diversi.

Il primo risale alla radice indoeuropea *(s)mer-/(s)mor-, che, in greco, ha dato vita, tra le altre, alla parola μέριμνα (mérimna) ‘pena, affanno’, mentre in latino ha prodotto tutta la famiglia di MĔMŎRĬA. Altra parola corradicale è MŎRA ‘indugio, attesa’, rimasta inalterata nella italiana mora, usata nel linguaggio burocratico per definire metonimicamente la penale che si paga per un ritardo, oppure, al plurale, nell’espressione nelle more ‘in attesa’ (anche espandibile con la preposizione di: nelle more di ‘in attesa di’). Da MŎRA, poi, deriva RĔMŎRA, quasi un sinonimo, che in italiano si è continuata in remora ‘indugio, scrupolo’. A quanto pare, quindi, la parola memoria è legata non tanto alla funzione della mente, quanto all’attesa e al sentimento del dolore: in memoria è conservata l’idea dell’ostacolo che ci impedisce di guardare avanti e ci fa indugiare dolorosamente sul pensiero del passato. Si pensi che dalla stessa radice deriva, nell’inglese contemporaneo, il verbo to mourn ‘lamentarsi, essere a lutto’ (quindi ‘fermarsi a ricordare con dolore’). A margine va ricordato anche rimembrare (e rimembranza), che continua il provenzale antico remembrar, a sua volta erede del latino RĔMĔMŎROR ‘ricordarsi’, quindi della stessa famiglia di memoria.

Ricordo, a sua volta, risale alla convinzione che la memoria sia situata nel cuore; un’idea che ha avuto molto successo nel mondo romano antico e che ha lasciato diverse tracce nelle lingue moderne, come nell’inglese to learn by heart e nel francese apprendre par coeur ‘imparare a memoria’ (letteralmente ‘imparare secondo il cuore’). In inglese, inoltre, abbiamo record ‘registrazione’, ovvero, ancora una volta, ‘ricordo’. Nella parola ricordo è ben distinguibile la radice latina CŎR(D)-, legata al cuore, che ritroviamo anche in cordiale, cordoglio, coraggio, accorato, misericordia. La stessa radice è alla base di accordo, concordia, accordare ‘mettere d’accordo’ oppure ‘concedere’, concordare e scordare ‘dimenticare’, ingiustamente vituperato perché omografo e omofono di scordare ‘far perdere l’accordatura di uno strumento musicale’ (dal greco χορδή, khordé, ‘budello, corda’) e perché comincia col suono sgradevole [sko].

Insomma, le parole del ricordo in italiano moderno provengono da tre strade diverse, da tre nuclei semantici distinti, oggi divenuti uno solo nella lingua comune. La storia di questi tre nuclei semantici, però, merita di essere ricordata, per farne un monumento della ricchezza dell’italiano, ma senza che divenga una memoria ingombrante.

Fabio Ruggiano