Perché “io mirava” (e non “miravo”)?

Categorie: Fonetica e fonologia, Italiano e latino, Morfologia

QUESITO:

Come spiegare certi costrutti, tipici di alcuni testi letterari, in cui la prima persona singolare è associata ad una terza persona singolare?

Ad esempio, nella celebre poesia A Silvia, al verso 23 sta scritto: “Mirava il ciel sereno” (in cui il soggetto è io).

RISPOSTA:

Il mirava del verso di Leopardi è prima persona, non terza. La prima persona dell’indicativo imperfetto originariamente aveva proprio la desinenza -a. Questa desinenza si è conservata fino all’Ottocento inoltrato (quindi ancora per Leopardi), come variante letteraria e formale di -o, per essere, in seguito, del tutto soppiantata da -o.

La desinenza -a per la prima persona non deve sorprendere, visto che (io) amava continua il latino AMABAM. Con la caduta delle consonanti finali avvenuta già nel latino tardo, AMABAM si ridusse a AMABA, che in fiorentino antico (il volgare alla base della lingua italiana) divenne amava. In questo modo, la prima persona venne a coincidere con la terza, che continuava AMABAT, quindi era diventata, attraverso lo stesso processo, amava. Lo stesso successe, ovviamente, per i verbi irregolari: ERAM > era come ERAT > era. Per questo Dante scrive “tant’era pien di sonno a quel punto” (If I, 11) riferendosi a sé stesso. I parlanti hanno ben presto considerato scomoda la coincidenza tra le due forme, tanto che già a partire dalla seconda metà del Trecento a Firenze la prima persona sviluppa una desinenza alternativa: -o, per analogia con la prima persona del presente. Le due desinenze continuano a coesistere a lungo come varianti diafasiche, nonostante che i grammatici del Cinquecento censurassero -o. Il più influente di loro, Pietro Bembo, per esempio, non menziona affatto la desinenza -o per l’imperfetto e riconosce senz’altro che la prima persona e la terza del singolare coincidono:

Seguita, appresso queste, la prima voce del numero del meno [‘singolare’], di quelle che pendentemente si dicono [‘appartengono all’ìmperfetto’], Amava Valeva Leggeva Sentiva, che medesimamente si dice nella terza” (Prose della volgar lingua, 3, XXX).

Con il passare dei secoli, -a venne percepita sempre più come antica, aulica, poetica, finché, a un certo punto, sparì del tutto dall’uso comune. Un segnale inquivocabile della maturazione del processo di sostituzione di -a con -o è la scelta di Alessandro Manzoni di sostituire tutte le prime persone degli imperfetti in -a con varianti in -o nella terza edizione dei Promessi Sposi, pubblicata tra il 1840 e il 1842. Per esempio, nell’Introduzione dell’edizione del 1827 si legge: “Ben è vero, diceva io fra me, scartabellando il manoscritto”, ma in quella del 1840, nello stesso punto: “Ben è vero, dicevo tra me, scartabellando il manoscritto”.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Accordo/concordanza, Analisi grammaticale, Etimologia, Lingua letteraria, Registri, Storia della lingua, Verbo
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