QUESITO:
Vorrei sapere se le frasi seguenti siano equivalenti, o comunque assimilabili dal punto di vista semantico, e se, tra esse, ve ne siano alcune sbagliate.
Non penso che ci sia niente da vedere.
Non penso che ci sia qualcosa da vedere.
Penso che non ci sia niente da vedere.
Penso che non ci sia qualcosa da vedere.
RISPOSTA:
Tutte le frasi sono corrette e quasi indistinguibili sul piano del significato. Le varianti con la negazione inserita nella subordinata (la terza e la quarta) sono più formali delle altre; tra le due, si potrebbe dire che quella senza la doppia negazione (la quarta) sia più formale dell’altra, ma bisogna rilevare che la doppia negazione in italiano è del tutto normale e che, semmai, la variante più formale sarebbe “Penso che non ci sia alcunché da vedere”.
La collocazione della negazione davanti al verbo della proposizione reggente, pensare, è un caso di “risalita” dovuto alla forte solidarietà del costrutto penso + proposizione oggettiva: in altre parole, non penso che X è del tutto equivalente (ma leggermente meno formale) a penso che non X. Lo stesso fenomeno si può osservare in voglio parlarti > ti voglio parlare, in cui a “risalire” davanti al verbo servile (percepito come un tutt’uno con l’infinito) è il pronome atono ti.
Fabio Ruggiano