Italo Calvino, nel 1965, la chiamava antilingua, la lingua di chi non sa chiamare le cose col loro nome, di chi pensa che “effettuare” sia meglio di “fare”, di chi ha paura della chiarezza e della precisione: è la lingua burocratica. La lingua di chi, anziché dire “Non bere”, o “vietato bere”, o “Acqua non potabile”, crede sia più bello dire, e scrivere: “Acqua non idonea al consumo umano”, come recita l’immagine che abbiamo messo in copertina.
Ci troviamo di fronte a quello che Calvino chiamava il «terrore semantico»: «Chi parla l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla».
Milioni di testi italiani vengono tuttora scritti in modo fumoso, pomposo e imbellettato di falsa eleganza. E, paradossalmente, si tratta proprio di testi che dovrebbero essere chiari per tutti, dal momento che si riferiscono al vasto pubblico: circolari, avvisi, norme cittadine ecc.
A favore della chiarezza e contro un uso distorto della parola, DICO bandisce un concorso: presentiamo qui due testi scritti in pretto burocratese. Vi invitiamo a riscriverli in italiano comune, chiaro e comprensibile a tutti e a spedirli a DICO (dico@unime.it). In alternativa, potete voi stessi individuare un brano da riscrivere, secondo quanto specificato nel video di presentazione.
Ecco i due testi da riscrivere da noi proposti.
I due testi sono tratti da due belle e recenti pubblicazioni dedicate proprio a questo tipo di lingua:
1) Sergio Lubello, Il linguaggio burocratico, Roma, Carocci, 2014, p. 85;
2) Letizia Lala, I linguaggi dell’Amministrazione pubblica: online vs offline, italiano d’Italia vs italiano elvetico, in Iørn Korzen et al. (a cura di), Tra romanistica e germanistica: lingua, testo, cognizione e cultura, Bern, Peter Lang, 2014, pp. 237-256.