Sono tempi difficili per il discorso indiretto

Categorie: Sintassi

QUESITO:

Salve, prima di porre il quesito che è al centro di due miei dubbi, vorrei riepilogare alcuni casi della trasformazione dal discorso diretto a quello indiretto, augurandomi che la mia esposizione sia corretta.

“Mi ha detto: ‘Verrò da te'” diventa “Mi ha detto che verrà da me” (se l’evento non si è ancora compiuto),  “Mi ha detto che sarebbe venuto da me” (se l’evento si è compiuto: futuro nel passato).
“Mi dice: ‘Verrò da te'” diventa “Mi dice che verrà da me”.

E ora i dubbi:
“Mi dirà: ‘Sono venuto da te'” diventa “Mi dice che sarà venuto da me” oppure “Mi dice che è venuto da me”?
(Personalmente, userei il futuro anteriore, trattandosi di un evento che è precedente a quello dell’enunciazione, espresso al futuro semplice).

“Mi dirà: ‘Vengo da te'”
si trasforma in
“Mi dirà che viene da me” o “Mi dirà che verrà da me?”
(La prima opzione mi appare stonata, con il passaggio dal futuro al presente).

 

RISPOSTA:

La sua prima ricostruzione del discorso indiretto corrispondente a “Mi ha detto: ‘Verrò da te'” non è del tutto esatta; la costruzione con il futuro nel passato, infatti, non permette di stabilire se l’evento si sia verificato o no; serve solamente a indicare che l’evento era programmato nel passato. Sarebbe del tutto coerente, per esempio, una frase del genere: “Mi ha detto che sarebbe venuto da me e lo sto ancora aspettando”. Anzi, l’interpretazione più immediata sarebbe proprio quella secondo cui l’azione non si è verificata; volendo evitare una simile interpretazione, e sottolineare che l’azione si è verificata, un parlante ricorrerebbe a una costruzione marcata come “Me l’aveva detto che sarebbe venuto”.
La differenza tra “Mi ha detto che verrà da me” e “Mi ha detto che sarebbe venuto da me” riguarda il cambiamento del punto di riferimento a partire dal quale si valuta l’azione annunciata. Nel primo caso, quello con il futuro, si assume come punto il momento dell’enunciazione, quindi, in questo caso, il punto di vista del soggetto che riporta il discorso (verrà è futuro rispetto al momento in cui il discorso viene riportato, non rispetto al momento in cui è stato fatto l’annuncio, che è nel passato); nel secondo caso, quello con il condizionale, si mantiene come punto il tempo dell’annuncio, quindi, in questo caso, si assume come punto di vista quello del soggetto che ha fatto l’annuncio. Per questo motivo la frase con il futuro implica che l’azione non si sia ancora verificata, mentre quella con il condizionale è indecidibile: dal punto di vista del soggetto che ha fatto l’annuncio, l’azione poteva verificarsi o no.
Per quanto riguarda il primo dubbio, innanzitutto è ovvio che il verbo reggente rimane uguale nella trasformazione del discorso da diretto a indiretto. A partire da “Mi dirà: ‘sono venuto da te'” la possibilità più immediata è “Mi dirà che è venuto da me'”; quando la principale è al futuro e la subordinata al passato, infatti, il passato prossimo perde la sua funzione deittica (cioè smette di riferirsi al momento dell’enunciazione) e indica esclusivamente anteriorità rispetto al tempo della principale (indica, cioè, in questo caso, che l’azione del venire si è verificata prima di quella del dire, che è futura). Possibile è anche “Mi dirà che era venuto da me”, in relazione a un’altra azione successiva al venire, ad esempio: “Quando lo vedrò, mi dirà che era venuto da me appena prima (che ci vedessimo)”. 
La versione con il futuro anteriore è, secondo la Grande grammatica italiana di consultazione (vol. II, p. 631), inaccettabile, perché il futuro anteriore ha un esplicito valore deittico, quindi mantiene come punto di riferimento tanto il momento dell’enunciazione quanto il tempo della principale. Personalmente non sarei così netto sulla inaccettabilità del costrutto (pur sconsigliandolo), innanzitutto perché frasi come “Domani mi dirà che sarà venuto a cercarmi” non pongono particolari problemi di interpretazione; e poi perché l’inaccettabilità del futuro anteriore riguarderebbe esclusivamente le proposizioni oggettive e quelle soggettive, non le altre subordinate, comprese le interrogative indirette: “Domani sapremo se i nostri investimenti avranno reso poco o tanto” (e allora perché sarebbe inaccettabile “Domani ci accorgeremo che i nostri investimenti avranno reso poco”?).
Per il secondo dubbio, viene è preferibile rispetto a verrà, che è, comunque, accettabile.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Verbo
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