“Italiano a scuola”: un nuovo spazio di comunicazione dedicato alla didattica della lingua italiana

Pubblicato Categorie: Le interviste di DICO

È appena stato pubblicato il primo numero della rivista scientifica Italiano a scuola, diretta dai professori Roberta Cella (Università di Pisa) e Matteo Viale (Università di Bologna), e promossa dall’Associazione per la Storia della Lingua Italiana – Sezione Scuola (ASLI – Scuola) e dal Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna. Il primo numero raccoglie 20 contributi suddivisi in tre sezioni tematiche.

Professori, quali sono gli obiettivi della rivista? A chi si rivolge?

La rivista, che ha periodicità annuale ed è liberamente consultabile alla pagina https://italianoascuola.unibo.it/, si propone come spazio di discussione e comunicazione tra quanti si occupano di didattica della lingua italiana, sia nella ricerca sia sul campo. Si rivolge quindi a studiosi e insegnanti di ogni ordine e grado interessati all’avanzamento delle conoscenze nell’àmbito della didattica e alla messa a punto e diffusione di prassi d’insegnamento dell’italiano più efficaci.

Dal momento che, nel 2003, ha cessato di essere pubblicata la rivista «Italiano & Oltre», ci è sembrato che mancasse uno spazio di incontro e di confronto tra le molte anime che, da punti di vista differenti, si occupano per professione e si preoccupano dell’educazione alla lingua: «Italiano a scuola» intende colmare quel vuoto e, con la formula dell’accesso aperto, raggiungere la platea più vasta possibile.

Le tre sezioni della rivista, Ricerca, Discussioni e proposte didattiche, Aggiornamento, suggeriscono un percorso che va dalla teoria alla pratica e che si pone in linea con i princìpi dell’ASLI Scuola. Italiano a scuola sembra avere in sé le potenzialità per rafforzare il rapporto tra ricerca e esperienza didattica. Nel saggio introduttivo si parla di «iato che non di rado è fonte di diffidenza reciproca e […] segno di mutua incomprensione». Nel dibattito tra scuola e università, in che modo si inserisce il nuovo canale di comunicazione aperto da questa rivista?

Tra il mondo della ricerca accademica e il mondo della scuola c’è senz’altro bisogno di un collegamento forte e costante, che garantisca un reciproco scambio di competenze ed esperienze: siamo convinti che non si possa fare ricerca nell’àmbito della didattica della lingua italiana senza un contatto vivo e diretto con la realtà scolastica, e, d’altro canto, che l’insegnamento possa trarre nuovi stimoli e benefici dagli spunti offerti dalla ricerca linguistica per quanto concerne sia i contenuti disciplinari sia i metodi di analisi.

Il dialogo porta a un reciproco arricchimento e a un graduale superamento di quello iato di cui abbiamo parlato dell’editoriale inaugurale. Adottando tale prospettiva, la rivista si colloca sulla scia del lavoro dell’ASLI Scuola, che dell’interazione tra ricerca e lavoro degli insegnanti ha fatto la sua cifra caratteristica. La rivista è aperta a registrare questo dialogo tra università e scuola e a farsene attivamente promotrice.

Negli ultimi anni è cresciuta la collaborazione tra università e scuola: la didattica dell’italiano potrebbe essere considerata il filo conduttore di questo legame?

Lo è senza dubbio, specie quando la didattica è nutrita da un solido dominio degli strumenti della linguistica e la ricerca tiene conto delle reali condizioni del contesto in cui la scuola opera. In quest’ottica i corsi universitari di Didattica dell’italiano (e simili denominazioni) possono rappresentare un capillare mezzo di diffusione della cultura linguistica nell’insegnamento, anche se non va taciuto che spesso dietro alla denominazione dei corsi si nascondono approcci e contenuti molto diversi.

La didattica valorizza sempre più un approccio fondato sulla linguistica testuale, che mette in risalto i requisiti di coerenza e coesione. La ricezione e l’interpretazione, intesi come strumenti propedeutici alla fase di produzione di un testo, orale e scritto, sono al centro del prossimo convegno ASLI Scuola, che si terrà all’Università Roma Tre dal 20 al 22 febbraio 2020. Quali sono le prospettive dell’italiano a scuola e all’università?

L’esempio illustra molto bene i reciproci vantaggi di una collaborazione tra università e scuola: le pratiche di insegnamento possono trarre vantaggio dalle acquisizioni della ricerca e questa essere illuminata dalle consapevolezze che emergono dalla prassi dell’insegnamento quotidiano. I risultati della ricerca mostrano che è necessario ridefinire i metodi di lavoro sulla lettura e sulla comprensione del testo e instaurare un circolo virtuoso tra la fase di ricezione del testo e la fase di produzione, e evidenziano l’importanza di un autonomo spazio didattico per l’oralità; l’esperienza nell’insegna­mento suggerisce i modi in cui, nel concreto, è possibile realizzare tali fini. Il miglioramento della didattica in termini di qualità ed efficacia passa inevitabilmente per una stretta collaborazione tra teoria e prassi, che si illuminano e completano a vicenda.

Qual è la vostra posizione sui risultati (pubblicati a dicembre del 2019) delle prove OCSE-PISA 2018, che a ogni nuova edizione fanno tanto discutere, anche a sproposito, i giornali ma non sembra provochino reali prese di coscienza e cambiamenti di rotta nella legislazione e nella progettazione scolastica?

I dati confermano tendenze già ben chiare da tempo e convergono con quelli di altre rilevazioni nazionali e internazionali (INVALSI, PIRLS), specie per quanto riguarda le differenze tra macroaree geografiche e tra tipi di scuola (licei, tecnici e professionali). Ciò che sconvolge è il silenzio dei decisori politici e l’incapacità di operare scelte in grado di modificare realmente la situazione o almeno di invertire la rotta. Stupisce anche la leggerezza del dibattito giornalistico, in cui si idealizza il passato e si vaneggia di una inesistente età dell’oro in cui le competenze linguistiche sarebbero state solide e diffuse, quando in realtà i dati PIAAC ci dicono con chiarezza che in Italia le competenze linguistiche si abbassano con l’avanzare dell’età (gli adulti italiani sono il fanalino di coda dei paesi OCSE per capacità di lettura), segno degli scarsi effetti a medio e lungo termine dell’esperienza scolastica e conseguenza dell’assenza, in Italia, di possibilità di apprendimento durante tutto il corso della vita.

Il problema comunque è complesso, e meriterebbe considerazioni più attente, anche perché, qualora fosse superato il problema preliminare del silenzio politico sull’argo­mento, le soluzioni non sarebbero immediate né i risultati dietro l’angolo: serie politiche di istruzione si progettano con nozione di causa, visione strategica e prospettive di medio-lungo periodo. Riflessioni utili ad avviare il discorso si possono leggere nell’intervista che Matteo Viale ha rilasciato il 3 dicembre 2019 a Open, proprio a ridosso della pubblicazione dei dati OCSE-PISA 2018 (https://www.open.online/2019/12/03/gli-studenti-italiani-non-sanno-leggere-il-prof-viale-e-colpa-della-scuola-e-di-chi-la-governa-lintervista/). Ma appunto, come si sarebbe detto un tempo, il dibattito è aperto: ci auguriamo che «Italiano a scuola» possa divenirne uno dei punti di riferimento.