Un “che”, tante funzioni

Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Leggo su un giornale a diffusione nazionale, nell’articolo di fondo: “… non prendeteci in giro, che non siamo ragazzini …”. Quel che non dovrebbe essere accentato ed avere quindi valore di perché poiché? Altrimenti, come definire quel che?

 

RISPOSTA:

Uno dei tratti più caratteristici dell’italiano contemporaneo è la diffusione nello scritto del che polivalente, ovvero di usi del connettivo che non facilmente inquadrabili nella classificazione grammaticale tradizionale. Si tratta di usi ben noti alla tradizione dell’italiano, ma fino a qualche decennio fa tipici del parlato. Tipici, ma non esclusivi, come dimostrano, per fare un esempio tanto antico quanto illustre, i tanti passi danteschi nei quali la funzione di che è indecidibile (per una disamina di questi passi si può leggere la voce dell’Enciclopedia dantesca dedicata proprio a che). Il più famoso è probabilmente il verso 3 dell’Inferno: “ché la diritta via era smarrita”, che nell’edizione Petrocchi (qui riprodotta) appare come ché, ma sul quale ci sono parecchi pareri discordi che vorrebbero la restituzione di che (secondo la lezione di molti codici). Il valore del connettivo nel passo, infatti, può sì essere causale, ma non si possono escludere il valore consecutivo (= tanto che la diritta via era smarrita), quello semplicemente aggiuntivo (= e la diritta via era smarrita), quello che alcuni definiscono modale (= in modo tale che / sicché la diritta via era smarrita) e addirittura, ma si tratta dell’interpretazione meno accreditata, quello relativo (= nella quale la diritta via era smarrita). Tra gli usi del che polivalente, infatti, rientra anche quello di relativo generico, che può sostituire cui e tutti gli altri casi (in cuiper cui ecc.). 
Questi usi sono rimasti ai margini della tradizione scritta fino a qualche decennio fa; anche le occorrenze dantesche sono da interpretare come tentativi di imitare il parlato o occasionali abbassamenti di tono. L’avvicinamento relativamente recente tra lo scritto e il parlato ha portato a una sempre maggiore accoglienza di tratti come questo nello scritto, a partire ovviamente da testi di bassa formalità (famoso il verso della canzone di Jovanotti perché non c’è niente che ho bisogno) o brillanti, come certi articoli giornalistici di commento. Lo scritto mediamente formale ancora rifiuta questi usi, ma è possibile che essi si diffondano sempre di più in futuro. Già oggi, per esempio, il che pseudorelativo all’interno della frase scissa (“È lui che ho visto”) è pienamente accettato. Sulla frase scissa, in particolare, si possono leggere diverse risposte nell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Congiunzione, Pronome, Registri, Scritto-parlato-mediato, Sintassi marcata, Storia della lingua
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