qual’è con l’apostrofo?

QUESITO:

Sottopongo un quesito sulla legittimità della mia protesta in oggetto, esponendone i dettagli.  

Personalmente, osservo volentieri il troncamento nei casi in cui il vocabolo “quale” assume una  funzione qualificativa (una sofferenza grave, qual è la solitudine / un capomastro, qual è Tizio,  eccetera).
Lo pratico malvolentieri, invece, quando io voglia individuare, soprattutto interrogativamente, un elemento all’interno di un insieme (con un senso equiparabile a quello del quis vestrum latino). In tale occorrenza preferirei l’elisione con l’agognato apostrofo, giusto per il piacere di rimarcare formalmente la differente funzione del termine, da aggettivo a pronome. E’ una mia bizzarria, lo so.
Tuttavia, ove sia plausibile, perché non concedere la scelta di una mirata eccezione alla regola?
Perché mai fondare la norma esclusivamente sul fatto che già esista*, autonomo, il pronome in forma tronca? E’ la revoca della pari dignità della forma intera…
Perché non ammettere che in determinati casi uno scrivente possa voler “partire” dal pronome integro e quindi trattarlo con l’elisione? Pare un processo alle intenzioni…
In tal senso io sospetto (fra il serio e il faceto) che la generalizzazione della regola si debba ad un arbitrio tirannico.
Posso scendere in piazza a reclamare la libertà condizionata per l’apostrofo?

* Avrei da ridire anche su questo congiuntivo.
Nella fattispecie non ci si trova nel campo dell’ipotetico ma in quello del reale: si parla di un fatto certo, riconosciuto come tale anche nella frase. Perché mai inibire l’indicativo in casi come questo?
 

 

RISPOSTA:

Il tema che pone (qual è o qual’è, apocope o elisione) è assai dibattuto e la sua posizione è assunta da un illustre linguista (Salvatore Claudio Sgroi) e da alcuni seguaci (Luca Passani della Voce di New York, tra gli altri), con autorevoli e validissimi motivi. Dai quali tenderei a dissociarmi (ma senza scandali né clamori, che la lingua va dove vuol andare) perché mi pare strano vincolare il concetto di apocope o elisione alla percezione del parlante attuale (non tutti, peraltro). Sarebbe un po’ come dire, dal momento che non tutti ormai avertono più la differenza di pronuncia tra e aperta e chiusa (né la congiunzione può mai essere confusa con un verbo) io decido di scrivere senza accento la terza persona del presente del verbo essere: lui e. Oppure, visto che oggi non è più praticato, fuor di Toscana, il raddoppiamento fonosintattico dopo da, allora scriviamo dapertutto e non dappertutto. Analogamente, visto che nessuno usa più il troncamento di quale davanti a consonante, allora esso diventa ipso facto elisione e dunque scriviamolo con l’apostrofo: qual’è. Allora, per lo stesso motivo, dovremmo considerare ormai stantio qualsiasi e scriverlo qualesiasi, visto che quale non si tronca mai davanti a consonante, no? In altre parole, siamo proprio sicuri che ciò che costituisce il discrimine tra apocope e elisione sia la percezione del parlante odierno, e non piuttosto il fatto che quella parola abbia una sua esistenza autonoma anche senza la vocale finale? A me pare che qual rimanga una parola dell’italiano ancora oggi, come mostrano non soltanto l’espressione (d’accordo cristallizzata) qual buon vento ti porta (che sarà pure cristallizzata, ma è pur sempre un’espressione usatissima tuttora e quindi a pieno titolo dell’italiano d’oggi), non soltanto le parole composte con qual (qualsiasi), ma anche usi apocopati possibilissimi (magari al Nord, visto che il Sud comunemente recalcitra ai troncamenti, tant’è vero che io a Messina sono sempre il professore Rossi, laddove nel resto d’Italia divento il professor Rossi, perdendo una e) come: qual dei due? tal e qual (addirittura in finale di parola) ecc. (italiano regionale veneto? Forse, ma sempre italiano). Quindi, riassumendo:  qual è una parola dell’italiano? Sì. È possibile usarla soltanto davanti a vocale? No. Quindi qual è una forma apocopata (di quale) e non elisa. Quindi l’apostrofo non si usa, né sarebbe giustificato usarlo solo in certe funzioni e non in altre: per qual mai (sic!) motivo uno qual è Tizio sarebbe diverso da qual’è dei due? Non capisco. Oltretutto, in entrambi i casi da lei citati l’uso è pronominale e non aggettivale, ma comunque non è questo il problema: non ha senso cambiare grafia secondo il cambiamento funzionale di una stessa parola! E per qual ragione (sic! naturalissimo nel mio idioletto) deve rivendicare l’uso di quale apostrofato (cioè eliso) se già l’italiano possiede qual come forma autonoma (nata per apocope da quale)? Proprio non capisco. Non mi pare che la grammatica e l’ortografia siano un fatto ideologico di libera scelta di usare le forme che cogliamo anche se non esistono, no? (Su questo contemplo numerose eccezioni, naturalmente, ma sarebbe troppo lungo parlarne qui). Dopodiché: le lingue e le grafie possono cambiare (e di fatto cambiano), se c’è un amplissimo consenso dei parlanti e degli scriventi. Quando ciò accadrà (spontaneamente e non per indicazioni elitarie e dall’alto), stia ben sicuro (e non bene sicuro: per me è apocope e non elisione) che vocabolari e grammatiche lo registreranno. A me pare che oggi, con l’eccezione sua, di Passani, di Sgroi e di alcuni altri, vi sia uno sdegno diffuso contro qual’è, per cui direi che possiamo continuare a considerare qual è l’unica forma corretta, con buona pace dei numerosi qual’è della rete e del passato (è l’oggi, non lo ieri, che fa la norma dell’italiano attuale). Ma lei, come Passani e Sgroi e chiunque altro, ovviamente, è libero di usare qual’è e di fare tutte le crociate che vuole, assumendosi però l’onere di sentirsi dare (non da me), eventualmente, dell’ignorante (la lingua è di tutti e ciascuno può tacciare d’ignoranza chi vuole).

Infine, per quanto riguarda il congiuntivo, nella frase da lei usata avrebbe potuto senza alcun problema scrivere “che esiste” anziché “che esista”, e non c’entra nulla la certezza o incertezza del significato (è quest’ultima una fantaregola inventata dai maestri di scuola, più o meno, come dice Sgroi ripreso da Passani). La differenza tra congiuntivo e indicativo è il più delle volte un fatto meramente diafasico (formale/informale) che nulla ha a che vedere con la certezza/eventualità della frase, come potrà constatare dalle 100 risposte su questo date dal nostro archivio DICO, digitando congiuntivo nella mascherina di ricerca.

Fabio Rossi

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