QUESITO:
Nel mio lavoro da copywriter, creo spesso delle campagne pubblicitarie per i social, la carta stampata e le affissioni.
Nelle “headline” (i titoli delle campagne pubblicitarie) io non metto mai il punto, a meno che non sia un punto interrogativo o esclamativo.
Tantissimi altri miei colleghi invece lo fanno.
Ad esempio nella headline “La colazione dei campioni” secondo me il punto non ci va. Mentre altri lo mettono.
Ho ragione io, hanno ragione i miei colleghi, o è una scelta stilistica?
RISPOSTA:
Ha ragione lei: nei titoli di norma il punto non va. È pur vero che, soprattutto nella testualità online, lo stile la fa da padrone, come anche l’espressività, le consuetudini scrittorie (mutate) e le attese dei lettori. Motivo per cui taluni argomentano sostenendo che il punto può conferire maggiore perentorietà, sicurezza, affidabilità (come a dire: punto e basta, so quello che dico e che offro). Per queste ragioni, all’opposto, in altri tipi di testo il punto viene bandito anche fuor dai titoli: se ha esperienza di testualità nei social, sa come un punto alla fine di un post di fb o di un messaggio whatsapp può rompere amicizie e amori (è successo più volte veramente), perché viene interpretato come una chiusura all’altro, un atto di violenza, una rottura del rapporto.
Cionondimeno, da affezionato tradizionalista alla testualità analogica, mi sento di suggerirle di rimanere fedele alla nostra vecchia e amata norma di non mettere mai il punto fermo alla fine di un titolo. Punto (ma sia qui detto e scritto senza alcuna ostilità, anzi…)
Fabio Rossi