Meglio usare l’infinito prima di costruire una frase scorretta

Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle risposte ai quesiti, ribadite spesso che l’identità di soggetto tra proposizioni reggenti e subordinate richiede, e a volte impone, la costruzione implicita. Partendo dal presupposto che seguendo questo suggerimento non si cadrebbe mai in errore, quali sono i casi in cui la costruzione esplicita è comunque ammessa (pur essendo sconsigliata) e quelli in cui invece è vietata?
Mi è capitato di leggere o ascoltare frasi quali “Spero che io sia stato chiaro”, “Prima che uscisse di casa, egli non aveva salutato nessuno”. Sono esempi da penna rossa?

 

RISPOSTA:

L’alternanza tra forma esplicita e forma implicita (rappresentata dall’infinito) riguarda le proposizioni subordinate che nella forma esplicita sono introdotte dalla congiunzione che e ammettono, o richiedono, il modo congiuntivo. Tali proposizioni, quindi, sono le completive soggettive e oggettive, le finali, che sono introdotte da perché (per + che) o affinché (al + fine + che), le consecutive e le temporali introdotte da prima che, che vogliono il congiuntivo (non quelle introdotte da dopo che, che vogliono l’indicativo, né, tanto meno, quelle introdotte da quandomentre ecc.).
In quattro casi la forma implicita è obbligatoria:
1. Con la proposizione finale sempre: “Ti parlo per farti capire il mio pensiero” (non *”Ti parlo perché io ti faccia capire il mio pensiero”); “Luca è venuto per studiare con me per l’esame” (non *”Luca è venuto perché studiasse con me per l’esame”); “Verranno per arrestarti” (non *”Verranno perché ti arrestino”).
2. Quando la proposizione soggettiva ha un soggetto che coincide con il soggetto logico della reggente: “A me piace viaggiare” (non *”A me piace che viaggio”); “A Luca è sembrato giusto chiedermi scusa” (non *”A Luca è sembrato giusto che mi chiedesse scusa”); “Domani ti sembrerà di aver agito bene?” (non *”Domani ti sembrerà che hai agito bene?”). In realtà in questo caso l’obbligo è, come spesso accade, in parte elastico; in particolare con il verbo sembrare l’infrazione è meno evidente (qualche esempio di “Ti sembra che hai…” e simili è rinvenibile on line, in sedi non squalificate). Questo avviene probabilmente perché sotto la costruzione con sembrare si insinua quella con pensare e simili, come se nella mente del parlante si creasse una confusione tra il modello “Ti sembra che…” e il modello “Pensi che…”. Con quest’ultimo, come si vedrà tra poco, la costruzione implicita è sì consigliata (“Pensi di aver fatto bene” è preferibile a “Pensi che hai fatto bene”), ma meno rigidamente.
3. Nelle oggettive rette da un verbo di comando, consiglio e simili. Attenzione: in questo caso l’identità che fa scattare l’obbligo non è tra i soggetti, ma tra il soggetto della subordinata e il destinatario del comando, consiglio ecc.: “Ti ordino di sistemare la stanza” (non *”Ti ordino che tu sistemi la stanza”); “Ho consigliato a Giulia di partire presto domani” (non *”Ho consigliato a Giulia che parta presto domani”); “Chiederò loro di aiutarmi con il lavoro” (non “Chiederò loro che mi aiutino con il lavoro). Si badi che nell’ultima frase il verbo chiedere è usato con il significato di ‘richiedere’, assimilabile ai verbi di comando; se, invece, lo usiamo con il significato di ‘domandare’ le cose cambiano: “Chiederò loro che intendono fare riguardo alla mia offerta”. Come si nota, qui la proposizione subordinata non è una oggettiva, ma una interrogativa indiretta, e che non è una congiunzione, ma un pronome interrogativo (infatti può essere sostituito da che cosa).
4. Quando tanto la reggente quanto la subordinata sono impersonali: “Bisogna comportarsi bene” (ma “Bisogna che tu ti comporti bene”); “Si stabilì di partire all’alba” (ma “Si stabilì che partissimo all’alba”); “Prima di agire è bene riflettere” (ma “Prima che tu agisca è bene che tu rifletta”).
Nella maggior parte degli altri casi, la costruzione implicita è consigliata ed è comunque la variante più formale, ma quella esplicita è comune e accettabile in contesti informali e mediamente formali. Il grado di accettabilità del costrutto esplicito non è costante, ma è soggetto alla semantica e alla reggenza del verbo reggente e ad altri fattori circostanziali. Ad esempio, la proposizione oggettiva vista prima: “Pensi che hai fatto bene?” è più accettabile di “Spero che io sia stato chiaro”, decisamente più sciatto di “Spero di essere stato chiaro” (si noti, a margine, che il congiuntivo sia, uguale per le prime tre persone, obbliga qui l’esplicitazione del soggetto pronominale, per evitare la concordanza automatica con un soggetto di terza persona). Anche il secondo esempio da lei proposto: “Prima che uscisse di casa, egli non aveva salutato nessuno”, mi sembra al limite dell’accettabilità; meglio “Prima che uscisse di casa, non aveva salutato nessuno” (e comunque la costruzione più formale è “Prima di uscire, non aveva salutato nessuno”).
La proposizione consecutiva è quella più libera su questo fronte; ammette quasi sempre, infatti, il costrutto esplicito senza un evidente scarto diafasico (ovvero di formalità): “Sono tanto stanco che non voglio uscire per una settimana” è valida tanto quanto “Sono tanto stanco da non voler uscire per una settimana”. Tale peculiarità di questa proposizione è dovuta probabilmente al fatto che contiene necessariamente un evento posteriore rispetto a quello della reggente. Come si vedrà sotto, proprio questa circostanza avvantaggia la costruzione esplicita su quella implicita.
Va detto che il costrutto esplicito è quasi sempre possibile se il parlante intende enfatizzare il soggetto della subordinata, come in questo esempio letterario: “Facendomi onore mi chiese che collaborassi anch’io” (Vittorio Gorresio, La vita ingenua, 1980). Persino la finale ammette tale possibilità: “Ho lavorato tanto affinché avessi il premio anch’io”. Si noterà che in questi casi il soggetto viene inserito preferibilmente alla fine della subordinata, perché veicola una informazione nuova, che si trova tipicamente nella parte destra dell’enunciato. Anche se lo anticipassimo, ci troveremmo a pronunciarlo (o immaginare di pronunciarlo nella nostra testa) con un’intonazione marcata: “Ho lavorato tanto affinché ANCH’IO avessi il premio”. Più o meno lo stesso avviene quando l’enfasi ha una funzione contrastiva: “Ho pensato che io (e non altri) ho la responsabilità di portare a termine il progetto”; “Ho lavorato tanto affinché io (e non altri) avessi il premio”​. In questo caso, la novità del soggetto può essere rimarcata dividendo in due parti la subordinata (costruendo quella che viene definita una frase scissa): “Ho pensato che sia io (e non altri) ad avere la responsabilità di portare a termine il progetto”; “Ho lavorato tanto perché fossi io (e non altri) ad avere il premio”. Come si vede dagli esempi, peraltro, anche nella frase scissa permane la preferenza per la costruzione implicita della subordinata che ha lo stesso soggetto della reggente e che sarebbe introdotta da che se fosse esplicita: “ad avere la responsabilità…” (non *”che ho la responsabilità”); “ad avere il premio” (non *”che io abbia il premio”).
C’è, infine, un caso nel quale, nonostante l’identità di soggetto, è la costruzione esplicita a essere preferibile: quello delle completive che contengono un’azione futura rispetto alla reggente (si tratta della circostanza a cui abbiamo accennato a proposito della proposizione consecutiva). Tale preferenza è dovuta al fatto che l’infinito non ha il tempo futuro in italiano, quindi bisogna ricorrere alla costruzione finita per segnalare che l’evento della subordinata è posteriore rispetto a quello della reggente: “Credo che farò uno spuntino” (“Credo di fare uno spuntino” significherebbe che sono incerto se io stia facendo uno spuntino); “Pensai che avrei fatto uno spuntino” (in questo caso si usa il condizionale passato per esprimere il futuro nel passato). L’infinito presente, per la verità, può anche esprimere un’azione futura, per cui quasi sempre il costrutto implicito risulta trasparente: “Penso di fare uno spuntino” e “Pensai di fare uno spuntino”, per esempio, sono ben formati, anche se l’azione di fare uno spuntino è posteriore rispetto al pensare. Con il verbo credere il costrutto implicito è meno felice perché credere può significare tanto ‘valutare’ quanto ‘non essere certo’ e può ingenerare confusione.

Parole chiave: Analisi del periodo, Registri, Verbo
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