QUESITO:
Vorrei chiedere chiarimenti sull’uso dell’imperfetto. Propongo alcune situazioni a titolo esemplificativo.
1. Sei ingrassato.
2. Mangiavo come un lupo.
(Usando un imperfetto, ritengo che il mio interlocutore capisca che mi riferisco ad un momento particolare del passato oramai concluso – ad esempio, durante le vacanze – e che ora sono tornato a mangiare con più moderazione. Tuttavia mi chiedo se sia necessario fornire un contesto più ampio per giungere alla conclusione da me prospettata. Me lo chiedo perché normalmente l’imperfetto si concentra più sull’aspetto dell’azione / situazione che non sulla sua conclusione o interruzione.)
La giornata era bella, splendeva il sole, ma faceva freddo.
(Pensate che un qualunque parlante italiano interpreterà questa frase in senso univoco, anche in mancanza di contesto? Ossia capirà che si tratta di una giornata qualunque del passato, con momenti conclusisi in quel passato vicino o lontano?)
Mio figlio faceva sempre colazione con pane e burro.
(Si tratta, in questo caso, di un’abitudine risalente al passato ed interrotta, anche se il parlante non ha sentito la necessità di specificare il momento dell’interruzione?)
Mi hanno detto che eri [ma anche: “che sei”] qui e sono venuto.
(E’ coretto dire che in questo caso l’imperfetto non esprime un evento passato ma una situazione che perdura ancora al presente? Infatti l’imperfetto potrebbe essere sostituito dal presente. Si tratta delle cosiddette “frasi completive”?)
1. Mi hanno detto che eri sposato con un’americana.
2. Sì, e lo sono ancora.
(Mi chiedo: se la persona a cui mi rivolto risponde “Sì, e lo sono ancora”, significa che ha percepito dal tono di voce leggermente ascendente sulla secondaria la mia convinzione che non lo fosse più? Altrimenti mi sarei espresso usando il presente: “Mi hanno detto che sei sposato con un’americana”.)
RISPOSTA:
La risposta al primo dubbio sull’imperfetto è sì: “Mangiavo come un lupo” è chiaramente un’azione passata; è vero, infatti, che l’imperfetto indichi un’azione durativa, o reiterata, ma pur sempre nel passato. Questo vale quando, come nel suo caso, l’imperfetto abbia valore temporale. Va detto, però, che nell’italiano colloquiale l’imperfetto può avere anche valore modale (funzionare, cioè, come un modo), non temporale, ed essere pertanto svincolato dal riferimento al passato: può rappresentare, ad esempio, un’azione presente come forma di cortesia: “Volevo chiederti un favore”; oppure addirittura un’azione futura, nel caso questa sia stata già decisa: “Te l’ho detto che domani andavo a fare la spesa”.
Anche nel secondo e nel terzo esempio (“La giornata era bella, splendeva il sole, ma faceva freddo” e “Mio figlio faceva sempre colazione con pane e burro”) l’imperfetto ha valore temporale, quindi rappresenta situazioni passate. A proposito di “La giornata era bella…”, aggiungo che la giornata in questione non è una giornata qualunque: l’articolo determinativo, infatti, indica che il parlante ha già introdotto questo tema nel discorso o pensa che l’interlocutore possa recuperarlo nella sua memoria.
Per quanto riguarda “Mi hanno detto che eri [ma anche: “che sei”] qui e sono venuto”, la proposizione “che eri qui” è effettivamente una completiva, e più precisamente una oggettiva (rappresenta il complemento oggetto espanso del verbo dire). Diversamente dagli esempi precedenti, quindi, l’imperfetto si trova in una proposizione dipendente: sostanzialmente, però, la situazione non cambia, perché quando la completiva è all’indicativo la scelta del tempo è scarsamente vincolata alla consecutio temporum. La versione con l’imperfetto rientra nei casi visti sopra: anche qui l’imperfetto indica un’azione durativa nel passato; la versione con il presente, invece, è impossibile, non per il tempo verbale (posso dire, infatti, “Mi hanno detto che sei bravo a cucinare e sono venuto a provare la tua pasta alla carbonara”), ma per il senso generale della frase: una volta vista una persona è illogico ribadire che questa sia nel luogo dove è. Prendiamo un esempio possibile anche al presente: “Mi hanno detto che sei bravo a cucinare e sono venuto a provare la tua pasta alla carbonara” indica sicuramente che la bravura di cui si parla è presente; in questo caso la proposizione coordinata ha senso perché il parlante non può essere sicuro che l’informazione sia veritiera (diversamente dal suo esempio, nel quale il fatto stesso che la conversazione avvenga implica che l’informazione fosse veritiera). “Mi hanno detto che eri bravo a cucinare” indica, invece, che la bravura è venuta meno. In quest’ultima frase l’imperfetto può anche assumere una sfumatura ironica (che emergerebbe solo con una pronuncia ammiccante), come se si intendesse dire: “Mi hanno detto che eri bravo a cucinare e voglio vedere se lo sei ancora”. Anche così, comunque, l’imperfetto manterrebbe il suo valore temporale.
Infine, nell’ultimo esempio l’intonazione non cambia il senso della frase: in ogni caso l’imperfetto indica un’azione passata. In questo caso l’imperfetto potrebbe avere la funzione secondaria di veicolare una sfumatura di cortesia: se il parlante non fosse sicuro del perdurare del matrimonio, con l’imperfetto si metterebbe al riparo dalla brutta figura, come se dicesse: “Mi hanno detto che eri sposato con un americana, ma non sono sicuro che tu lo sia ancora”.
Fabio Ruggiano