QUESITO:
in un costrutto in cui il passato remoto sostiene le azioni certe è corretto adottare il congiuntivo passato per indicare un’azione a sua volta conclusa ma di cui il parlante non è pienamente sicuro?
“Lui parlò, mangiò e credo che abbia visto un film”.
Se anche il vedere un film fosse stato un fatto certo, oltreché concluso, si sarebbe detto vide un film.
Ecco: se esiste, qual è l’equivalente al congiuntivo del passato remoto?
Mi capita talvolta di adottare, istintivamente, il congiuntivo passato per subordinate di periodi in cui la reggente sia introdotta da non vorrei che:
“Non vorrei che i tuoi genitori, poc’anzi, si siano offesi per ciò che ho detto”.
Si tratta di un errore?
RISPOSTA:
L’alternanza tra indicativo e congiuntivo nelle proposizioni completive non è dovuta alla certezza dell’emittente su ciò che sta dicendo, ma al grado di formalità che vuole adottare. In particolare, in dipendenza da verbi di opinione (che, come capisce bene, esprimono già da sé l’idea dell’incertezza) il congiuntivo è fortemente consigliato, mentre l’indicativo (passato remoto o prossimo) suona un po’ trascurato.
L’uso dei tempi del congiuntivo è regolato dalla consecutio temporum, che attribuisce a ogni tempo il suo ambito.
Il condizionale presente del verbo volere e di tutti i verbi che indicano desiderio, aspirazione, necessità regge di norma i tempi del passato del congiuntivo, quindi imperfetto e trapassato. Le ragioni di questa reggenza passata per un tempo presente sono spiegate nella risposta n. 2800136 dell’archivio.
Il congiuntivo presente in dipendenza dal condizionale presente di questi verbi è considerato errato, ma è comune, e accettabile, in contesti informali. Una frase come “Non vorrei che tu abbia sonno”, insomma, è accettabile tra amici, sebbene più formale sia “Non vorrei che tu avessi sonno”. Allo stesso modo, a “Non vorrei che tu abbia pensato di andare a dormire” si preferisce, in contesti formali, “Non vorrei che tu avessi pensato di andare a dormire”.
Fabio Ruggiano