QUESITO:
Ho una curiosità: com’è la grammatica degli autori della grande letteratura? Si dà il caso di errori ed errorini, o di autori con una minore conoscenza della grammatica rispetto ad altri ma capaci di opere altrettanto grandi, se non di più?
RISPOSTA:
Di autori e autrici che, più o meno consapevolmente, infrangono prescrizioni grammaticali è piena la letteratura: si va dal che polivalente all’uso dell’imperfetto indicativo nel periodo ipotetico dell’irrealtà, da apostrofi e accenti difformi dalla norma alla punteggiatura, dall’ortografia alla morfologia, e si va da Dante a Petrarca, da Tasso a Leopardi ecc. ecc. Talora si tratta di usi che, all’epoca dell’autore o dell’autrice in questione, non erano stati ancora ben codificati dalla tradizione grammaticografia e pertanto non ancora, a rigore, tacciabili come fuori norma (visto che la norma ancora non li contemplava). È per esempio il caso del che polivalente in Dante: «Era già l’ora che volge il desio ai naviganti e ’ntenerisce il core lo dì c’han detto ai dolci amici addio». Altre volte si tratta di consapevole scelta di infrazione di una norma da parte di autori particolarmente espressionistici (Gadda, prima ancora gli scapigliati ecc.). Altre volte ancora si tratta di un problema mal posto, cioè di scelte che sono solo meno formali ma che analisti inesperti scambiano per scorretti (lo stesso che polivalente può rientrare quasi sempre in questa tipologia). Più raramente, infine, si tratta di vera e propria ignoranza, cioè di autori o autrici scarsamente scolarizzati che scrivono in italiano popolare, cioè la lingua degli incolti che, nel passaggio dal dialetto all’italiano, non riescono ad applicare tutte le prescrizioni della norma grammaticale. Naturalmente, ancorché si tratti di fenomeno raro, chi ignora la grammatica, chi non è stato a scuola, può ben essere in grado di scrivere con una profondità di contenuti e una felicità narrativa tali da superare quelle dei più blasonati talenti letterari. È senza dubbio il caso del romanzo Terra matta, di Vincenzo Rabito, pubblicato postumo da Einaudi nel 2008 e considerato da critici autorevoli tra i romanzi più belli e tra le analisi storiche più acute del Novecento.
Fabio Rossi