QUESITO:
Nello studio della grammatica di nostra figlia ci siamo imbattuti un una discrepanza tra due libri di testo sull’argomento dei trigrammi che sono quindi a chiedervi di dirimere.
La prima domanda è quindi se i trigrammi siano da considerarsi due o quattro.
Inoltre:
1) in “Grammatica Pratica” di E. Sergio è scritto che ci e gi seguiti da a, e, o, u sono digrammi. Quindi specie, cieco, cielo, società, superficie, braciere, panciera, grattacielo, igiene e derivati, effigie sono da considerarsi correttamente digrammi?
2) Nella stessa grammatica viene illustrato il caso di sciatore e fruscio e evidenziando che non si tratta di trigrammi. Sono quindi da considerarsi digrammi?
3) In “Datti una Regola” di E. Zordan c’è una nota sia per i digrammi che per i trigrammi: “nei gruppi ci, gi seguiti da vocali, la i serve solo da segno grafico per rendere dolci i suoni c e g“. Per segno grafico si intende segno diacritico? Ovvero nei digrammi e trigrammi i ed h sono sempre segni diacritici?
RISPOSTA:
I trigrammi in italiano sono 2, gli (come in aglio) e sci (come in sciocco). I digrammi, invece, sono sette: gl davanti a i (figli); gn davanti a vocale (compagno); ch davanti a e e i (chiedere); gh davanti a e e i (margherita); sc davanti a e e i (scena); ci davanti a a, o, u (camicia); gi davanti a a, o, u (valigia). Il caso dei gruppi ci e gi seguiti da e è oggetto di dibattito, perché qui la i non corrisponde a un fonema né ha funzione diacritica; continuiamo a scriverla soltanto per mantenere la somiglianza grafica delle parole con la loro base etimologica (ad esempio effigie < effigiem, panciera < pancia + -iera, camicie < camicia ecc.). Se eliminiamo questa i il suono della parola non cambia affatto (infatti alcune di queste parole si possono scrivere anche senza i, come pancera o effige). Effettivamente, però, anche in questo caso abbiamo due grafemi (c + i e g + i) che rappresentano un unico fonema, quindi possiamo considerarli digrammi.
Chi e ghi non sono trigrammi, ma l’unione di due digrammi, ch e gh, con la vocale (o la semivocale) i. Si noti, infatti, che in aglio e sciocco i gruppi di grafemi gli e sci rappresentano ognuno un unico suono, mentre in chiedere e ghiro i gruppi chi e ghi rappresentano due suoni, rispettivamente ch-i e gh-i.
La i segno diacritico (o segno grafico, cioè senza valore fonetico) è quella che serve a indicare che il grafema precedente deve essere pronunciato come palatale (o dolce) e non come velare (o duro). Per esempio nella parola sciatto la i indica che il fonema corrispondente al digramma sc è palatale. Dal momento che il grafema i è funzionale alla pronuncia del digramma sc lo consideriamo un tutt’uno con esso, per cui otteniamo il trigramma sci. Se in questa parola togliamo il grafema i otteniamo una parola diversa, scatto, nella quale abbiamo due fonemi distinti, quello corrispondente al grafema s e quello corrispondente al grafema c velare (oltre agli altri che completano la parola). La i è un segno diacritico nei digrammi ci e gi e nei trigrammi; ha, invece, valore fonetico, cioè corrisponde a un fonema autonomo, quando è accentata (come in fruscio, in cui abbiamo il digramma sc seguito dal fonema corrispondente a i) oppure quando non è preceduta da sc, c, g o gl (attività). La parola sciare è un caso isolato, perché non si pronuncia sciàre, quindi con il trigramma sci, ma quasi scìàre, con la i autonoma. Per capire meglio questa particolarità basta confrontare la pronuncia di sciare con quella di sciara (‘la scia della lava depositata sui fianchi di un vulcano’), in cui sci è un trigramma.
Anche l’h è un segno diacritico, che indica il contrario della i, ovvero che il fonema precedente deve essere pronunciato come velare e non come palatale. In italiano l’h non ha mai valore fonetico (è “muta”), ma può servire 1. come segno diacritico; 2. a distinguere graficamente due parole omofone (ad esempio ha e a); a rappresentare una particolare emissione della voce nelle onomatopee ah!, oh! e simili.
Fabio Ruggiano