QUESITO:
Navigando su internet mi sono imbattuto quasi per caso nel concetto di “vocali sonore aspirate” (alla voce wikipedia di “sonorizzazione aspirata”). Potrei chiederle gentilmente se si tratta di un errore (si sa il grado di attendibilità di wikipedia…) oppure se è qualcosa che riguarda lingue particolari.
Alla voce predetta ci si limita a dire che “le vocali sonore aspirate sono scritte. Secondo me si intendeva dire vocali sonore mute (in francese esistono).
Vorrei inoltre chiederle alcune conferme in tema di parole con le doppie: è esatto dire che le doppie sono allungamenti delle consonanti o delle vocali di durata variabile (non quindi necessariamente con raddoppio della sonorità), anche a seconda del grado di intensità che si vuole dare di volta in volta alla parola utilizzata? La finalità delle doppie qual è, quella di creare nuove combinazione per nuove parole?
Infine, esistono dati (anche per approssimazione ovviamente) circa il numero di parole italiano con le doppie?
RISPOSTA:
La voce di Wikipedia sembra, in questo caso, un mezzo disastro (altre voci sono ben fatte, ma questa no), perché usa il termine tecnico sonorizzazione in due accezioni differenti: da un lato, nel senso noto in fonologia (è sonoro ciò che mette in vibrazione le corde vocali, sordo ciò che non le fa vibrare); dall’altro, come termine (impreciso) della versione vulgata della fonetica articolatoria che indica più o meno ‘ciò che è udibile’, cioè udibile anche se sussurrato e con notevole passaggio di aria. Lo stesso dicasi per aspirato, usato in modo contraddittorio. È chiaro che tra i due significati ci sia un ampio margine di sovrapposizione: ciò che è udibile deve, in certo qual modo, produrre vibrazione delle corde. Ma non necessariamente, in realtà: anche un soffio è udibile, ma non per questo è sonoro (cioè non provoca vibrazione delle corde vocali): da qui l’uso incoerente o oscillante dei termini sonoro e aspirato in questo articolo di Wikipedia.
Il disastro diventa massimo quando l’articolo invoca un’inconsistente “vocale sonora aspirata”. Se è vocale, è per forza sonora (in fonetica, ma non in ortografia, come dirò tra un secondo) e se è aspirata non è solo vocale, ma ha almeno una testa o una coda consonantica, per es. un fonema glottidale (come nelle numerose lingue che contengono consonanti aspirate) o di altra natura. Come se pronunciassi “ha” con una forte aspirazione iniziale: è chiaro che ad essere aspirata non sarebbe la vocale, ma la consonante che la precede (non certo in italiano, dove la h è sempre muta, cioè si scrive ma non si pronuncia).
Nulla di tutto questo ha a che vedere con le mute, che è un concetto che – per es. nel francese la e non accentata, o nella h italiana – ha a che vedere con la grafia e con la pronuncia: cioè alcuni segni di scrivono (per retaggio grafico del passato) ma NON si pronunciano (o si neutralizzano nella pronuncia come schwa, nel caso della e in certe parole e in certe pronunce del francese odierno e del passato, ma con modalità differenti nelle diverse epoche).
Insomma: un conto è l’aspirazione (che non ha a che vedere con le vocali ma con le consonanti), un conto l’essere muto (problema grafico e fonetico insieme), un conto la sonorità (che riguarda la vibrazione, rispetto alla non vibrazione, delle corde vocali), e un altro conto ancora è la pronuncia sussurrata o sfiatata o altro, che riguarda unicamente una modalità di articolazione pertinente alla fonetica e non (salvo eccezioni di certe lingue) alla fonologia. Per un esempio di pronuncia sibilata (o aspirata, come erroneamente definita nell’articolo) immagini quando lei sussurra una frase per non essere sentito da tutti.
Inoltre, quando Wikipedia scrive “le vocali ecc. sono scritte ecc.” intende dire: ‘si scrivono in alfabetico fonetico come [a] [e] ecc.’, ma, ancora una volta, sbaglia, perché se sono veramente aspirate si scrivono (sempre in alfabeto fonetico) diversamente e presuppongono prima (o più raramente dopo) della vocale stessa un elemento consonantico (se trattasi di un fonema, nelle lingue che posseggono fonemi aspirati: quali le glottidali o anche le fricative), oppure un fono (se trattasi di mera articolazione priva di ricaduta semantica) comunque di natura aspirata (glottidale ecc.).
Per quanto riguarda le doppie: consonante doppia = consonante lunga (o meglio intensa) e conseguentemente vocale breve della medesima sillaba; prendiamo papa / pappa: in pappa non è soltanto la p a essere più lunga, ma anche la prima a a essere più breve. Viceversa per le cosiddette scempie (che in fonetica si definiscono tenui).
Non tiriamo in ballo la sonorità, che riguarda la vibrazione delle corde vocali: esistono doppie sia nelle sorde (tt) sia nelle sonore (dd). Forse lei intende dire ‘allungamento del suono’: questo è vero talora. Ma nelle sorde si ha allungamento di un non suono: provi a pronunciare tatto e daddo: scoprirà che in tatto tra la a e la o le sue corde vocali non vibrano (basta toccarsi il pomo d’Adamo con un dito) e dunque c’è una pausa (più lunga che in tato), mentre in daddo vibrano (meno a lungo che in dado) e infatti sentirà un pizzicorino sul dito che sta toccando il pomo d’Adamo. Non confonda sonoro con suono (come faceva Wikipedia!).
Sì, infine, la finalità delle doppie è creare nuove parole: pala / palla ecc.
Sicuramente esistono strumenti elettronici in grado di rilevare la statistica delle parole con doppie in italiano: non ho un riferimento preciso, ma provi a cercare online. Ormai la statistica applicata alla linguistica è una disciplina assai consolidata, da decenni. Basterebbe anche, con un dizionario elettronico che consenta una ricerca nel solo campo lemma, chiedere quanti lemmi contengono bb, quanti cc, dd ecc. per tutte le consonanti doppie. Facendo la somma, si otterrebbe il numero dei lemmi con doppie in italiano, presumibilmente assai elevato, almeno un quarto del totale dei lemmi in italiano, che, secondo i dizionari più ricchi, sono almeno 250 mila, sebbene i più frequenti non siano più di diecimila.
Naturalmente possono esistere anche parole con doppie vocali, o vocali lunghe, ma occorre distinguere tra quelle che si pronunciano lunghe pur non essendo scritte due volte, quelle che invece sono scritte due volte (come certe interiezioni: aah), quelle che sono scritte due volte per motivi lessicali, morfologici, retaggi etimologici ecc. (zoo, studii, maree ecc.).
Né nelle consonanti né nelle vocali, infine, il piano grafico va confuso con quello fonetico, né quello fonetico (tutti i suoni) con quello fonologico (solo i suoni pertinenti, cioè quelli che, se tolti o aggiunti, determinano un nuovo significato: papa / pappa). Non tutto ciò che si scrive raddoppiato si pronuncia due volte e inoltre, in modo pressoché sistematico (tranne che nei casi delle due vocali morfologiche: marea / maree e simili), un grafema doppio non corrisponde a un suono doppio, ma, semmai (laddove la lingua lo preveda) a un fonema più lungo (rispetto a quello scritto come non doppio, o scempio). E viceversa: taluni segni si scrivono come scempi ma si pronunciano come lunghi: da Firenze (inclusa) in giù grazie si pronuncia indubitabilmente come grazzie (o grazzzzzie!), sebbene la scrizione con due o più zeta sia un gravissimo errore di ortografia.
Insomma la fonetica, l’etimologia, i rapporti tra grafia e pronuncia di vocali e consonanti semplici o doppie ci porta lontanissimo e non possiamo esaurirlo qui. Inoltre, bisognerebbe tener conto delle differenze tra le varie lingue: in talune, come l’italiano, la lunghezza consonantica è fonologicamente più pertinente di quella vocalica, in altre, come l’inglese, accade l’opposto, in francese le doppie consonanti esistono solo graficamente ma non hanno alcuna pertinenza fonologica ecc. ecc.
Fabio Rossi