QUESITO:
Si legge sulla Treccani: «Verbo copulativo e complemento predicativo formano insieme un predicato unico, che una parte della tradizione grammaticale italiana ha considerato un predicato nominale a tutti gli effetti (Fornaciari ne osservò l’affinità semantica e sintattica di questi verbi col verbo essere), equiparandolo alla struttura formata da copula e parte nominale. Altri grammatici preferiscono invece definire tale predicato in modo più vago, parlando di un predicato intermedio tra quello nominale e quello verbale (cfr. «predicato con verbo copulativo»; Serianni 1989: 79)». In La Crusca per voi, n. 9, ottobre, 1994, il Prof. Vito Giovanni Ancona: «In alcune grammatiche il predicato formato da un verbo copulativo diverso dall’ausiliare “essere” viene considerato a tutti gli effetti predicato nominale formato dalla copula e dalla parte nominale. In altre invece lo si considera comunque un predicato verbale seguito da un complemento predicativo». In chiusura: «Dal punto di vista semantico, i verbi copulativi propriamente detti mantengono la funzione primaria di attribuire una proprietà al soggetto, e possono essere considerati varianti della copula. In questo senso, è possibile distinguere tre sottogruppi di verbi: Un primo gruppo è costituito da “diventare” e “divenire”, varianti aspettuali con valore incoativo del verbo “essere”: “Nel 1946 l’Italia divenne una Repubblica (= nel 1946 l’Italia iniziò a essere una Repubblica)”. Anche i verbi “stare, restare, rimanere” possono essere considerati varianti aspettuali della copula, ma con valore tendenzialmente continuativo: “Rimase zitta per tutto il viaggio (= continuò a essere zitta per tutto il viaggio)”. I verbi “sembrare, parere e risultare” sono invece varianti epistemico-modali della copula, rispetto alla quale assegnano un grado minore di certezza alla verità di quanto viene asserito: “Paolo sembra dimagrito (= Paolo è apparentemente dimagrito)”». In soldoni, come dovremmo catalogare verbi di questo tipo?
RISPOSTA:
Come non ci stancheremo mai di ripetere, gran parte delle distinzioni e delle classificazioni grammaticali non è ontologica, né legata al sistema linguistico in senso proprio, bensì frutto dell’interpretazione dei grammatici, dei didatti e dei linguisti, secondo le diverse scuole d’appartenenza, e soggetta dunque sempre a variazione e negoziazione nel tempo. Oltre alla classificazioni da lei riportate ve ne sono molte altre, come quella di Michele Prandi (cfr. almeno Prandi e Cristiana De Santis, Manuale di linguistica e di grammatica italiana, Novara, De Agostini, 2019) che considera copula (che dà luogo, dunque, a predicato nominale) non soltanto il verbo essere e tutti i verbi copulativi, ma anche moltissimi altri costrutti (per es. a verbo supporto) con verbo parzialmente desemantizzato e la cui predicazione avviene perlopiù attraverso il nome o l’attributo quali fare un viaggio, dare un regalo ecc. (nei abbiamo già parlato almeno qui). Già quarant’anni fa la linguista Maria Luisa Altieri Biagi (La grammatica del testo, Milano, Mursia, 1987, p. 553), infatti, osservava che «in italiano, non essendoci i casi, la distinzione [tra predicato verbale e nominale] ha perso importanza; si continua a farla per facilitare il confronto fra italiano e latino e la traduzione dall’una all’altra lingua».
Morale della favola, la risposta alla sua domanda conclusiva («come dovremmo catalogare verbi di questo tipo?») non è, non sarà mai, non può essere per definizione univoca. Una risposta seria e onesta alla sua domanda è: dipende dal punto di vista del linguista che analizza il fenomeno; e dunque i verbi copulativi possono essere considerati sia come mera copula (insieme con essere e con moltissimi altri verbi, secondo taluni e talune), sia come verbi copulativi. In quest’ultimo caso, essi possono dar luogo, sempre a seconda del punto di vista, sia a un predicato verbale sia a un predicato nominale. Disquisire su micro-distinzioni semantiche tra carica più o meno aspettuale o più o meno epistemica del singolo verbo, o del gruppo di verbi, è sì interessante, semanticamente, ma meno dal punto di vista sintattico (salvo eccezioni: mobilità dei clitici ecc.). In linea di massima. Pertanto, sempre che si voglia tener in vita la stantia distinzione tra predicato verbale e predicato nominale, forse il modo più prudente per analizzare tutti i verbi copulativi (cioè tutti quelli diversi da essere, ma comunque delegati a sostenere la predicazione nominale o aggettivale del sintagma che li accompagna) è considerarli parte di un predicato verbale con verbo copulativo. Sempre che non si voglia abbracciare la teoria di Prandi (per me la più convincente, ma che tuttavia ancora non attecchisce a scuola, per via dell’arretratezza delle grammatiche scolastiche nostrane) che considera tutti questi verbi, nel loro complesso, come copula e conseguentemente l’insieme di copula più sintagma che segue come predicato nominale.
Le risposte secche, semplificanti, accomodanti, che distinguono nettamente sempre in bianco e nero, non si addicono né alla linguistica né a nessun’altra branca del sapere scientifico.
Fabio Rossi