“A condizione che” e i tempi del congiuntivo

Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei farvi una domanda riguardo all’uso delle congiunzioni condizionali (escluso se).
Come sappiamo, nella parte condizionale va messo il congiuntivo, ma non sono certa se la scelta tra il presente e l’imperfetto dipenda soltanto dalla possibilità oppure anche dal tempo presente / passato?
A condizione che / purché / a patto che / casomai studi bene, supererai l’esame.
A condizione che / purché / a patto che / casomai studiassi bene, supererai l’esame.
A condizione che / purché / a patto che / casomai studiassi bene, avrai / avresti superato l’esame.
Ho anche un altro dubbio: dopo aver scelto il tempo della parte condizionale, cosa posso fare con quella reggente? Uso l’indicativo per esprimere una certezza e il condizionale per una possibilità?

 

RISPOSTA:

Le proposizioni introdotte da a patto chepurchéa condizione che e casomai (o caso mai) sono condizionali (nel periodo ipotetico sono chiamate protasi e contengono la descrizione della condizione) e richiedono il modo congiuntivo; il tempo dipende sia dal grado di possibilità dell’evento espresso sia dal rapporto temporale (la cosiddetta consecutio temporum) con il verbo della reggente (che nel periodo ipotetico è chiamata apodosi e contiene la conseguenza della condizione contenuta nella protasi). La sua prima frase è un caso canonico di periodo ipotetico della realtà. Questo costrutto serve a rappresentare l’evento della reggente come certo.
La seconda frase presenta un esempio di apodosi della realtà e protasi della possibilità: il costrutto, corretto, esprime un dubbio circa la possibilità della condizione (il parlante non è certo che l’interlocutore si metta a studiare bene) e la certezza riguardo alla conseguenza della condizione.
Il terzo e ultimo esempio presenta nuovamente nella subordinata il congiuntivo imperfetto, mentre nella reggente propone due opzioni diverse: un verbo all’indicativo (il futuro anteriore avrai superato) e un verbo al modo condizionale composto, o passato (avresti superato).
Il futuro anteriore si usa per indicare un evento che avverrà in un futuro più prossimo rispetto a un altro più lontano nel futuro. Si tratta di un tempo verbale usato raramente, perché il rapporto di successione tra gli eventi risulta quasi sempre chiarito dal contesto. In questo caso specifico non è presente un altro evento di riferimento successivo, di conseguenza il futuro anteriore non è giustificato. L’opzione diventerebbe possibile se si aggiungesse un evento di riferimento; per esempio: “A patto che studiassi bene avrai superato l’esame prima di accorgertene”. Bisogna, però, ammettere che la frase, corretta in astratto, difficilmente sarebbe prodotta da un parlante, per via della sua complessità.
L’ipotesi con avresti superato è impossibile se studiassi si riferisce al presente: presenta, infatti, la conseguenza come precedente rispetto alla condizione. La frase diviene corretta se il congiuntivo imperfetto è usato con valore astorico, legato non al presente, ma a un principio generale: “Se tu studiassi (= avessi l’abitudine di studiare) bene avresti superato l’esame”.
Prima di selezionare i tempi e modi verbali è opportuno valutare il grado di possibilità degli eventi selezionati a partire dalla reggente: è il verbo della reggente che governa quello della subordinata, in relazione al rapporto temporale e, nel caso del periodo ipotetico, al grado di possibilità che si vuole rappresentare.
Per ulteriori informazioni sull’uso di a patto che è possibile consultare questa risposta nell’archivio.
Fabio Ruggiano
Francesca Rodolico

Parole chiave: Analisi del periodo, Coerenza, Coesione, Verbo
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