Gli al posto di le e l’ideologia

Categorie: Italiano e latino, Morfologia

QUESITO:

Sull’articolo di fondo di un noto direttore di giornale, pubblicato stamani su un quotidiano a diffusione nazionale, leggo: «è uno dei cardini del pensiero liberale che purtroppo la sinistra fa suo solo quando GLI conviene». Mi chiedo e Le chiedo: ma come è possibile che un brillante e famoso giornalista, non alle prime armi, possa confondere GLI con LE?

Le risulta che oggi sia tollerato GLI al posto di LE? Del resto oramai, da anni, si usa GLI anche per la terza persona plurale maschile e femminile: «Gli ho detto» anziché «Ho detto loro». Possiamo credere che sia in atto un cambiamento di certe regole della grammatica italiana?

Se vuole verificare, vada su Google e scriva «Il Giornalone» (ci sono le prime pagine dei principali giornali italiani) dopodiché vada sulla prima pagina de «Il Giornale», troverà l’articolo di fondo «Non sia soltanto un tirare a campare» firmato da Alessandro Sallusti. Si tratta delle prime pagine di martedì 22 luglio 2025.

 

RISPOSTA:

Il dativo invariabile, cioè l’alternanza di gli/le e gli/loro, esiste fin dalle origini della lingua italiana (avallato peraltro dall’etimologia latina: ILLI come dativo indistinto sia per il maschile sia per il femminile) e non può dunque essere considerato un fenomeno recente. Tuttavia, la messa a punto della norma dell’italiano, a partire dal Cinquecento, ha relegato l’uso di gli al di fuori del dativo maschile tra i fenomeni da respingere, o perché troppo informale o perché del tutto scorretto, cioè fuori norma. Quando, almeno a partire dalla seconda metà del Novecento, le paratie tra scritto e parlato, tra formale e informale e tra norme e usi cominciano a vacillare e i confini a confondersi, gli per ‘loro’ (comunissimo già nell’Ottocento) e, meno comunemente, gli per ‘le’ cominciano a risalire ma, soprattutto il secondo, non nella norma scolastica. Quindi, visto che una lingua vive anche delle ideologie linguistiche, vale a dire del “sentimento della norma” (come lo chiamava Luca Serianni), cioè della percezione che i parlanti e gli scriventi hanno di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, possiamo ben dire che, ancor oggi, l’uso di gli per le è assolutamente da evitarsi nello stile formale; meno rigida la prescrizione di gli per ‘loro’, comunque sempre poco accetto nei registri più formali. In conclusione, a meno che un giornalista non voglia imitare a tutti i costi gli stili più informali e parlati della lingua, in un articolo di giornale gli per ‘le’ sarebbe da evitare. Alla base di usi siffatti, dando per scontato l’elevato livello culturale di giornalisti come Sallusti che ben conoscono la differenza tra norme, usi e registri della lingua, credo sia certa (populistica?) volontà di abbassare a tutti i costi il livello stilistico dei testi, dando così a credere ai lettori che il giornalista è dalla parte dell’uomo (e della donna) della strada, del popolo, e intende parlare alla pancia dei cittadini e delle cittadine. A lei, caro utente di DICO, la considerazione sull’ideologia che si cela dietro simili atteggiamenti.

Fabio Rossi

Parole chiave: Etimologia, Ideologia linguistica, Italiano a scuola, Lingua e società, Pronome, Registri, Scritto-parlato-mediato
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